mercoledì 25 gennaio 2017

18 - Il Mito della Città Ideale

Nel Rinascimento si persegue il MITO della CITTA' IDEALE, realizzata attraverso l'applicazione rigorosa di idee matematiche e geometrie e proporzioni perfette.
Il concetto di città ideale prende forma da una celebre tavola dipinta , tanto da essere imitato e preso a modello per innumerevoli versioni: la Tavola di Urbino



La città ideale, dipinto su tavola, XV sec., Urbino Galleria Nazionale.

In epoca romana la città era impostata su precisi criteri pratici, il modello romano era una
planimetria a scacchiera, percorsa da grandi arterie stradali, il cardo e il decumano, che si intersecano nel foro, centro cittadino. 
Durante l'epoca rinascimentale la rivalutazione dell'arte classica e la tensione all'armonia e alla proporzionalità delle forme, trasformarono l'architettura nello strumento che potesse sostenere la centralità dell'uomo e dell'ambiente in cui viveva, appoggiato e reso possibile dallo studio della prospettiva.

La nuova centralità assunta dall'uomo e dalla città, divenne quindi espressione politica e civile di un particolare periodo storico e culturale.
La città ideale quindi, rispose alle esigenze funzionali con soluzioni estremamente razionali ed ordinate, predisponendo e distribuendo nel tessuto cittadino, con un attento studio della posizione e della prospettiva, i punti-cardine della vita politica e sociale, quali Palazzi Pubblici, Piazze e Fortificazioni.


La tavola La Città Ideale rappresenta una visione utopistica di uno scorcio cittadino, organizzato in modo chiaro su schemi simmetrici ed equilibrati. Il punto focale è occupato da un edificio classico a pianta circolare, che rappresenta la perfezione e centro dell'idea progettuale. La prospettiva è resa chiara dalla geometria dei marmi policromi che fungono da reticolo e organizzano la disposizione di edifici e strade.
Su questi studi le città rinascimentali si possono ricondurre a due modelli: 

- la riorganizzazione del preesistente tessuto medievale, reimpostato e rivisto nella nuova
  ottica razionalistica rinascimentale (Pienza, Urbino, Ferrara)

- la progettazione e realizzazione ex-novo di città (Sabbioneta, Palmanova)




Sabbioneta (1556-1591) 
è una città di nuova fondazione, sorta tra il 1556 e il 1591 per iniziativa di Vespasiano Gonzaga che la volle edificare in un luogo ad alto valore strategico, sulla principale via di comunicazione tra la pianura bresciana e i maggiori centri del traffico fluviale del medio corso del Po. 
L’impianto viario ortogonale, che ne divide lo spazio in 36 isolati quadrangolari regolari, la razionalizzazione degli spazi pubblici e delle aree monumentali rendono Sabbioneta uno dei migliori esempi di città ideale costruita in Europa. Il progetto della città con le sue opere fortificate è tradizionalmente attribuito allo stesso Vespasiano Gonzaga, condottiero e mecenate: egli si avvalse da un lato dello studio dei trattati di urbanistica e ingegneria militare e dall’altro della consulenza di esperti nell’ingegneria militare e civile.
Urbanisticamente progettata secondo l’antico impianto dei castra romani, fu oggetto di un’originale sperimentazione prospettica: l’asse viario principale, l'antica strada Giulia che collega in direzione est-ovest le due porte d'accesso alla città, venne spezzato in prossimità delle porte e ne venne variata l’ampiezza, così da non far apparire parallele le file laterali delle case. L’intento di Vespasiano era di manipolare visivamente lo spazio per disorientare un eventuale nemico, in caso di attacco, e per far apparire la città più grande di quanto veramente fosse.

planimetria della città di Sabbioneta



Nella planimetria cittadina vennero inseriti importanti edifici monumentali

Piazza Ducale e Palazzo Ducale





Teatro Olimpico




Palmanova (1593)
Fu costruita per volontà della Serenissima Repubblica di Venezia che volle realizzarla a scopo militare per contrastare le invasioni dei Turchi e fu pensata una grossa fortezza che potesse contenere i cittadini e la loro vita. Si pensò di affidare il progetto a Leonardo da Vinci che però rifiuto essendo impegnato a Milano.
E' una città  con pianta geometricamente perfetta costruita sui numeri e sul numero 3

- stella a 9 punte
- 9 bastioni
- 3 porte di accesso
- 18 strade radiali di cui 6 principali
- piazza centrale a 6 lati

Il panorama risulta pressoché identico a 360°

Palmanova vista dall'alto

La piazza centrale esagonale e la convergenza delle 18 strade radiali

gallerie sotterranee alle fortificazioni


mercoledì 11 gennaio 2017

17 - Architettura e Urbanistica: Ferrara


Architettura e Urbanistica: Ferrara

Già nel Trecento Ferrara era una delle più importanti città della Pianura Padana. Nel Quattrocento aveva una solida situazione economica ed era sede della corte degli Estensi, ambito colto e raffinato che ospitava grandi artisti: Leon Battista Alberti, Piero della Francesca e Andrea Mantegna. 
Nel 1492 il duca Ercole I d’Este affida la progettazione di lavori di ampliamento all’architetto ferrarese Biagio Rossetti. L’ampliamento fu denominato “addizione ercùlea” dal nome del duca e motivato da motivazioni militari, economiche e demografiche.


     A - città medioevale
     B - prima addizione del 1435
     C - addizione di Borso del 1451
     D - addizione Ercùlea del 1492 


L’ampliamento della città prevede la costruzione prima di tutto degli assi viari. Si tratto di un vero e proprio piano urbanistico, cioè di un progetto che prevedeva la localizzazione delle varie attività (produttive, residenziali, di servizio) facendo ipotesi di uno sviluppo futuro dell’area urbana.
L’architetto curò in modo particolare l’incrocio delle strade, infatti risultano particolarmente elaborate e progettate le cantonate dei palazzi agli incroci viari.





Palazzo Turchi





Palazzo Prosperi - Sacrati







Palazzo dei Diamanti









martedì 10 gennaio 2017

16 - Architettura e Urbanistica: Urbino

Il lungo governo di Federico da Montefeltro, signore della città dal 1444 al 1482, assicurò ad Urbino un lungo periodo di stabilità. La presenza alla corte del signore di grandi artisti come Leon Battista Alberti, Piero della Francesca, Luciano Lauràna e Francesco di Giorgio Martini, fanno si che si sperimenti nella città una nuova esperienza di ristrutturazione urbana ed artistica.
In realtà l'intervento interessa il solo palazzo di Federico, ma immenso per dimensioni se paragonato alla piccola cittadina marchigiana.
Il palazzo è l'aggregazione e trasformazione di palazzi preesistenti, ma i lavori subirono una svolta decisiva all'arrivo di Luciano Lauràna nel 1468 al quale Federico conferì il titolo di "Ingegnero et Capo di tutti li maestri". Lauràna lavoro al palazzo fino al 1472 e nel 1476 il suo posto fu preso da Francesco di Giorgio Martini che portò definitivamente a compimento la "fabbrica".
Il palazzo è in laterizi, ha forma molto articolate che permettono l'adattamento alla conformazione naturale della collina e delle funzioni per le quali fu progettato.

antica pianta della città


vista d'insieme del Palazzo


facciata sinistra sulla piazza cittadina (Luciano Lauràna)


facciata destra sulla piazza (Francesco di Giorgio Martini)


facciata delle torri cilindriche detta Facciata dei Torricini


cortile interno






domenica 8 gennaio 2017

15 - Architettura e Urbanistica: Pienza

PIENZA


Nel 1459 papa Pio II Piccolomini incaricò l'architetto Bernardo Rossellino, cresciuto professionalmente al seguito di L.B. Alberti di ristrutturare il piccolo borgo natio a circa 50 km da Siena per poterlo utilizzare come una delle sedi pontificie. La piccola cittadina divenne così sede episcopale e rinominata, in onore del papa, Pienza. L'intervento ruota attorno alla organizzazione della piazza principale.



L'intero tessuto urbano viene coinvolto dall'opera di Rossellino che invita alla ristrutturazione dei palazzi già esistenti, apre la piazza del mercato, inoltre costruisce un ostello e un ospedale per i visitatori e case a schiera per i cittadini meno benestanti.


   Pianta del complesso della piazza di Pienza




La Piazza vista dall'alto





Cattedrale: facciata


Cattedrale: interno


Palazzo Piccolomini

Palazzo Piccolomini: facciata sul giardino

sabato 3 dicembre 2016

14 - La Scultura Rinascimentale - Donatello (1386 - 1466)

Come nell'arte greca, la scultura assume caratteri completamente autonomi dall'architettura, dalla quale è isolata attraverso nicchie, cornici, piedistalli.
La formazione degli scultori avviene quasi sempre nelle botteghe degli orafi dove si apprendono le nozioni di disegno, moderazione e lavorazione di materiali diversi.

I caratteri fondamentali sono:
- l'osservazione dal vero e il conseguente realismo
- l'interesse per l'uomo e quindi lo studio della figura umana, in particolare lo studio dell'   anatomia e dei movimenti del corpo


DONATELLO (Firenze, 1386 - 1466)
Il "padre" della scultura rinascimentale è considerato Donato de' Bardi, meglio noto come Donatello. 
Le sue qualità gli consentono di avere un ruolo di eccezionale rilievo nella storia dell'arte occidentale. Donatello infatti andò ben al di là degli esiti raggiunti dalla riscoperta del classico della scultura gotica, per lui il rapporto con la statuaria antica era ben più profondo. Fu un recupero totale in quanto riprese dall'arte antica tecniche, modi, simboli, iconologie e valori. In più, per Donatello la statuaria antica costituì un notevole aiuto nello studio dell'anatomia umana, che raggiunse con lui livelli di realismo sconosciuti dall'arte antica in poi. Il Rinascimento di Donatello si fondò più sul naturalismo che sul calcolo e sulla razionalità (come accadeva invece per Brunelleschi).
Di origini modestissime inizia il suo apprendistato con Ghiberti, con Brunelleschi compie un viaggio a Roma che sarà fondamentale per la sua formazione, ha la possibilità di ammirare la scultura classica ellenistica e romana, e gli aspetti decorativi e trionfali della scultura tardo-antica.
Lavoratore instancabile e attento, di carattere schivo e modesto nonostante la fama raggiunta.
Con lui la scultura raggiunge risultati irripetibili, il primo a riallacciarsi alla scultura greco-romana e a superarla nel donare ai suoi personaggi un'umanità e un'introspezione psicologica che rimarranno uniche nella storia dell'arte.


S. Giorgio (ca 1436), Firenze - Museo Nazionale del Bargello




Il Profeta Abacuc (1423 - 1425), Firenze - Museo dell'opera del Duomo




David (1440), Firenze - Museo Nazionale del Bargello
















venerdì 18 novembre 2016

13 - Benozzo Gozzoli (1420 - 1497)


Corteo dei Magi, commissionato da Pietro de’ Medici tra il 1459 e il 1462 in una cappella privata di palazzo Medici-Ricciardi.
Occupa le tre pareti della sala principale, al quale si affiancano, sopra le porte delle sagrestiole, gli affreschi con I pastori in attesa dell’annuncio. La narrazione ha inizio fuori dalla stanza, precisamente sopra la porta attraverso cui dal piccolo vestibolo si accede alla cappella.
Il viaggio parte da Gerusalemme, che Benozzo ha forse dipinto riferendosi ai paesaggi toscani e si dispiega in direzione di Betlemme. 
I Magi, che occupano ognuno una parete del vano principale, sono rappresentati secondo la tradizione: Gasparre è il più giovane, in abito bianco, Baldassarre, con abito verde, è l’uomo dalla pelle scura in età matura, Melchiorre, in rosso, è il più anziano in testa al corteo. In questa nobile sfilata sono stati riconosciuti molti ritratti di personaggi illustri dell’epoca legati alla famiglia Medici e, in particolare, di coloro che avevano partecipato al Concilio tra la Chiesa bizantina e quella latina svoltosi a Firenze nel 1439. 
Perciò nella parete est dove compare Gasparre - forse un ritratto ideale dell’ancora giovanissimo Lorenzo il Magnifico - seguito dal padre Piero e dal nonno Cosimo, sono raffigurati Sigismondo Malatesta e Galeazzo Maria Sforza, signori rispettivamente di Rimini e di Milano. Dietro di loro un corteo di filosofi, oltre allo stesso Benozzo che qui eternò il proprio ritratto, riconoscibile dal tipico berretto rosso.
Nella parete sud Melchiorre che cavalca una mula bianca, secondo la tradizione iconografica dell’ingresso di Cristo a Gerusalemme, raffigura Giuseppe II, patriarca di Costantinopoli. 
Infine nella parete ovest, si può riconoscere, in Baldassarre, l'imperatore Giovanni VIII di Bisanzio.
Nella complessità delle scene si riconosce la raffinatezza della tecnica esecutiva di Benozzo: la pittura prevalentemente a buon fresco è integrata con alcuni dettagli eseguiti a secco che hanno consentito al pittore di lavorare con cura meticolosa i preziosi gioielli, i sontuosi tessuti, le bardature dei cavalli ma anche gli alberi carichi di frutta, i prati con fiori, il variopinto piumaggio degli uccelli, e le ali multicolori degli angeli. Per produrre tale effetto di magnificenza, l’artista utilizzò materiali rari e costosi, quali il lapislazzuli destinato ai fondali azzurri, le lacche lucenti e le foglie di oro puro che brillavano al buio, nella penombra delle candele.

Una caratteristica insolita dal punto di vista iconografico è nel fatto che il corteo non arriva alla mangiatoia. L'adorazione di Gesù Bambino è stata infatti riservata agli osservatori presenti in sala, i quali portano le loro preghiere di fronte all’altare dove è collocato il dipinto eseguito dalla bottega di Filippo Lippi. Il soggetto raffigurato è la Vergine col Bambino, Dio Padre e lo Spirito Santo, (Santissima Trinità).

Parete ovest


Parete sud



Parete est



       
  Pastori



Angeli in volo (sx)



Angeli in volo (dx)








venerdì 11 novembre 2016

12 - Masaccio -Tommaso Cassai (San Giovanni Valdarno, 21 dicembre 1401 – Roma, estate 1428)

Sant’Anna Metterza (Madonna col Bambino e S. Anna), 1424 circa. Tempera su tavola.

Troviamo in questo dipinto la stessa forza espressa nelle opere di Giotto, la stessa ricerca di spazio e volume, lo stesso utilizzo del chiaroscuro: il Rinascimento è iniziato.


Nel 1940 lo storico d’arte Longhi vi riconobbe due mani diverse, attribuendo l’opera a Masaccio e Masolino: al primo spettano la Madonna, il Bambino e l’angelo reggicortina a destra, al secondo S. Anna e gli altri angeli.
Inizia qui la collaborazione tra il giovane Masaccio, di circa 23 anni, e il più anziano maestro, uniti da un rapporto professionale e di amicizia.
La Madonna e il Bambino formano una struttura piramidale, stabile e solida; il forte chiaroscuro, ottenuto con la luce proveniente da sinistra, fa emergere le figure dal dipinto come fossero rilievi; il gesto mai rappresentato prima delle mani della Madonna che tengono le gambe del bambino, in modo tenero ma stabile; il bambino nudo, anche questa una novità, in cui si mette l’accento sulla sua natura umana; il volto bello e vero della Madonna, una fisionomia reale presa dalla vita quotidiana, la sua espressione concentrata e consapevole. 
Tutti elementi che attraggono l’attenzione mettendo in secondo piano il resto.
Il panneggio del mantello della Vergine è in debito evidente con la Madonna di Ognissanti di Giotto, con la stessa forma e una tecnica simile, confermata da recenti indagini diagnostiche, basata sulla stesura di più strati di pittura a partire dalle ombreggiature, comune peraltro gran parte della pittura su tavola.
La sant'Anna è legata ancora a un linguaggio più medievale, con una luce diffusa più convenzionale e con un panneggio che cura soprattutto la linea delle pieghe, annullando il volume corporeo e rendendola evanescente.
La luce in Masaccio è molto reale, tanto da arrivare ad oscurare in gran parte il volto del bambino, altro segno inedito che rompe col passato.
L'angelo di Masaccio si distingue dagli altri per l'asse delle spalle leggermente spostato in scorcio, che crea una maggiore profondità facendolo arretrare.





Cappella Brancacci,1423-1425 Chiesa del Carmine, Firenze.




Fu fatta realizzata da Pietro Brancacci, esponente di una delle famiglie più potenti della Firenze di allora.
Un discendente di Pietro, nel 1423, per ricordare il suo avo, diede incarico a Masaccio e a Masolino da Panicale di affrescare questa cappella con storie tratte dalla vita di san Pietro. I lavori furono condotti in collaborazione dai due maestri fino al 1425, anno in cui Masolino partì per l’Ungheria. Masaccio ha lavorato a questi affreschi, senza completarli, fino alla sua morte. I lavori furono poi completati, circa cinquant’anni dopo, da Filippino Lippi.

La cappella subì alterne vicende, soprattutto nel XVIII secolo, quando venne demolita la volta a crociera e conseguentemente alcuni affreschi di Masaccio, e quando, pochi anni dopo, un incendio annerì e danneggiò parzialmente gli affreschi superstiti. Con i restauri realizzati negli ultimi anni del decennio Ottanta, gli affreschi hanno ritrovato la loro cromia originale e si presentano oggi molto più leggibili e godibili.

Guarigione dello zoppo - Resurrezione di Tabita

Il tributo

San Pietro che risana con l'ombra



                           Masolino                                             Masaccio



 
                              Filippino Lippi