venerdì 14 ottobre 2016

11 - G. C. Argan - Il concorso del 1401


Il Concorso del 1401 

Il secolo si apre, a Firenze, con una gara tra scultori: si bandisce il concorso per la seconda porta bronzea del battistero (la prima di Andrea Pisano era del 1336). Vi partecipano, con maestri già famosi come Jacopo della Quercia, due scultori poco più che ventenni: LORENZO GHIBERTI e FILIPPO BRUNELLESCHI. I concorrenti dovevano presentare una “storia”, il Sacrificio di Isacco, a rilievo, in una formella o compasso a losanga lobata, come quelli della porta trecentesca. 

Tanto il Ghiberti che il Brunelleschi sono per un ritorno all’antico ed hanno una cultura umanistica e storicistica: tuttavia le loro posizioni divergono. 

Il Ghiberti elenca tutti gli elementi del racconto biblico: Isacco, Abramo, l’ara, l’angelo, l’ariete, i servi, l’asino, la montagna. La sua cultura classica gli suggerisce un riferimento, il sacrificio di Ifigenia, e un’interpretazione allegorica del fatto storico: la rinuncia agli affetti personali per l’obbedienza a un imperativo superiore. Non rappresenta un dramma, ma evoca un antico rito sacrificale. Le figure sono vestite all’antica, la fronte dell’ara ha un fregio classico: sappiamo così che il fatto è accaduto in un tempo remoto e non ha più mordente drammatico. Isacco, in un bell’atto di offerta, ostenta le proporzioni perfette del corpo nudo; Abramo inarca l’alta figura con un movimento garbato. Affinché lo sguardo possa indugiare sulla bellezza dei particolari, la storia ha un tempo rallentato: una lunga cesura cade tra il fatto principale e il secondario, tra la scena del sacrificio e i servi rimasti ai piedi del monte. La segna, tagliando diagonalmente il campo, un’erta cresta di roccia, che agisce anche da schermo riflettente e regola l’illuminazione delle due parti. Questa trasversale coordina anche due orbite di moto: la lunga curva falcata di Abramo e quella opposta più breve ed inversa, del collo dell’asino. Questi ritmi di moto trovano un’eco nelle curve della cornice: il movimento non si concentra in un’azione, si dissipa nello spazio luminoso. L’azione è ancora sospesa: Abramo non ha vibrato il colpo, l’angelo è lontano nel cielo, Isacco non è atterrito, l’ariete è sul monte. 

La storia del Brunelleschi dura molto meno. Gli atti delle figure sono simultanei, formano un unico moto imperniato sul forte risalto del corpo di Isacco. Le forze si scontrano: tutta la massa protesa del corpo di Abramo spinge la mano ad affondare la lama, l’altra mano rovescia brutalmente all’indietro la testa della vittima scoprendo la gola indifesa. Il busto di Isacco si flette sotto la spinta, ma nelle gambe è già un accenno di resistenza e di reazione. L’angelo piomba dal cielo: la sua figura è una traiettoria tesa, che termina nella mano che afferra il polso di Abramo. Con l’altra indica l’ariete riluttante. L’urto di tre volontà in contrasto si concentra nel nodo delle teste e delle mani al vertice di un triangolo che rompe il ritmo ripetuto delle curve della cornice. La base è formata dai servi e dall’asino: ma la loro estraneità all’azione l’intensifica ancor più: il dramma parte da zero e subito è al colmo. 

Il Ghiberti descrive lo spazio in un succedersi di piani e di episodi; il Brunelleschi lo costruisce con la simultaneità dei moti, l’equilibrio dinamico del loro contrapporsi. 
Quale dei due scultori è più naturale? 
Il Ghiberti. Cerca di proporzionare paesaggio e figure; studia le sfaldature della roccia e le fronde degli alberi, fa scorrere la luce lungo i piani e i risalti, incanala l’ombra nei solchi della forma. Il Brunelleschi, del paesaggio, vede poco o nulla: una scheggia di roccia lontana e convenzionale, un albero che dovrebbe essere distante e al cui tronco, invece, aderisce un lembo del mantello di Abramo sbattuto dal vento. 
Quale è più studioso dell’antico? 
Il Ghiberti. Evoca costumi antichi, inserisce ornati classici, ritrova, chi sa come, il gusto pittorico e perfino la cadenza poetica dei rilievi ellenistici. Il Brunelleschi si limita a citare, in un servo, il motivo classico del giovane che si toglie la spina dal piede. 
Quale è più “moderno”? 
Non è facile dirlo. Il Ghiberti non è certo un sostenitore dei ritmi melodici del tardo-gotico: elimina le cadenze leziose, i particolari inutili, ma le onde ritmiche di curve, la luminosità effusa, il gusto decorativo della composizione guidata dalla cornice sono ancora motivi di un’estetica tardo-gotica. Il rilievo del Brunelleschi è in duro contrasto con tutta 
quell’estetica; e si richiama invece, direttamente, a Giovanni Pisano. Il richiamo è quasi testuale nel gesto dell’angelo, nell’asino, nell’arcaismo ostentato dello spunto paesistico. Quale è più rivoluzionario? 
Il Brunelleschi, senza dubbio. Lo spazio del Ghiberti è uno spazio naturale in cui accade un certo fatto. Il Brunelleschi elimina lo spazio naturale, fa il vuoto; nel vuoto costruisce uno spazio nuovo con i corpi, i gesti, l’azione delle persone. Del nuovo spazio definirà, pochi anni dopo, la struttura, e sarà la prospettiva; ma l’intuizione prima è già in questo rilievo. Non sarà lo spettacolo naturale, sia pure più meditato, più misurato, più “obiettivamente” inteso. Sarà uno spazio non-naturale, di fatti più che di cose, pensato come la dimensione dell’agire storico. […] 


G.C. Argan, Storia dell’arte italiana, Sansoni. 

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